La vera storia della banda Hood, Wu Ming 4, Bompiani
La leggenda di Robin Hood, forse la più famosa tra le leggende medievali, ha affascinato il pubblico dalle prime ballate ai film contemporanei. Wu Ming 4 ci offre una sua versione verosimile della leggenda, ne La vera storia della banda Hood (Bompiani), un romanzo storico in cui immagina una convergenza tra storia, poesia e folklore mantenendosi fedele all’approccio del collettivo Wu Ming alla Storia, un materialismo magico che sempre indaga il substrato materiale sotto a quello spirituale, senza privilegiare uno o l’altro ma tenendoli presenti entrambi.
Il romanzo racconta della Grande Via, dei villaggi, delle stanze della politica, del potere secolare, della religione ufficiale; ai quali si contrappone un mondo in cui convergono la foresta, i sentieri del bosco, la natura vivente, la religione popolare. E’ in questo mondo-foresta che si annida la banda Hood, un gruppo di bambini e ragazzi confinati ai margini di una società della quale non possono fare parte e che trovano nel bosco, nelle storie, nella vita comunitaria, l’energia e la tempra per vivere al di fuori della legge dei potenti. La banda emerge come l’eroe collettivo del racconto e ricorda i Bambini Perduti di Peter Pan, con una Wendy (Maud) a tessere le fila delle storie e delle loro vite.
Tuttavia, Robin Hood è un personaggio tortuoso fin dalle origini perchè personificazione di un bandito latitante, di uno spirito dei boschi, di un Green Man ma altresì di un trickster, figura liminale e ambigua, un imbroglione che agisce al di fuori delle regole convenzionali. Nel romanzo questo archetipo narrativo confluisce nel personaggio di Gisborne, già presente nelle ballate medievali come antagonista, ma che Wu Ming 4 non caratterizza come un semplice scherano dello sceriffo di Nottingham bensì come personaggio ponte tra città e foresta, lo straniero sconosciuto che entra in città e si mette a fare il doppio gioco. Un eroe atipico, anacronistico, convinto di poter sfidare il corso della storia con la sua arguzia. Si servirà una sola volta della spada, in una scena che viene lasciata all’immaginazione del lettore, la sua vera arma sarà la mente. Forse è proprio lui il vero protagonista del romanzo, un antieroe capace di riservare sorprese.
Troviamo poi un cantastorie, un menestrello, figura liminale tra il popolo e la corte, importantissimo medium, nel periodo medievale, di storie e di notizie che sarà il primo a veicolare le vicende della banda Hood. Il suo personaggio assume una valenza fondamentale all’interno di questa riscrittura che è soprattutto un omaggio alla potenza delle storie, delle storie recuperate, tramandate e ridefinite all’interno di un immaginario collettivo, arrivate fino a noi come memi universali. Storie anche antecedenti a quella di Robin Hood, si pensi alla citazione di Sir Gawain che aleggia in qualche modo su tutta la narrazione per mezzo di un drappo verde donato da mani di donna.
Anche Gisborne e la stessa banda Hood diventeranno a loro modo cantastorie all’interno della foresta di Sherwood in cui non ci sono leggi ma storie e la vita non viene regolata dall’autorità proprio per il suo essere foris, forestis silva, selva esterna alla civitas.
“John non ricordava quando avesse iniziato a credere alle storie di Maud. Forse durante l’inverno, quando li aveva tenuti appesi alle sue labbra nelle lunghe serate nella capanna, raccontando delle creature del bosco. Lo stesso aveva fatto con i nuovi arrivati dal villaggio, quasi tutti giovani, senza nient’altro che le orecchie per ascoltare.
Le storie erano la foresta, le davano significato. Un albero, una roccia, il torrente, non erano soltanto quello che apparivano, ma qualcosa in più, che rendeva ogni luogo unico e vivo. Questo gli ricordava il vecchio John che lo aveva cresciuto e che gli aveva fatto conoscere le storie della brughiera mentre gli insegnava la caccia. Maud gli aveva insegnato la foresta.
Quando camminava nel bosco, John sentiva la vita crescere ostinata intorno a sé, e sapeva che era così da infinito tempo prima che lui nascesse e che così sarebbe stato per chissà quanto tempo dopo la sua morte. Lì tutto sarebbe rinato, stagione dopo stagione, germoglio dopo germoglio, storia dopo storia. Di fronte a questo la sua esistenza non era che un accidente temporaneo, una piccola parte in quel flusso infinito di vita e di parole.” La vera storia della banda Hood, Wu Ming 4, Bompiani.
La foresta nel romanzo assume una valenza leggendaria, rifugio delle creature scalzate dall’avvento di un nuovo potere, di una nuova religione e stratificazione di elementi folklorici di religioni ormai passate: fate, folletti, troll. Credere nelle fate divenne pericoloso nelle società europee, che presero a punire la gente per espressioni e comportamenti eretici; i contadini, sempre sospettosi verso i membri delle classi elevate colte, non erano disposti a narrar loro le storie che erano parte essenziale e intima della loro cultura. Questi esseri vissero dunque unicamente nella credenza popolare. La foresta è viva, è un luogo magico e Wu Ming 4 assegna un valore simbolico alla difesa della foresta: difendere l’idea che la natura sia qualcosa di vivo, non di buono o di cattivo ma di vivo, con cui fare i conti e con cui rapportarsi. Difendere questo significa difendere il mito, restituirgli nitore. Mentre tutto ciò che sta fuori dalla foresta e dal mito, la foga disboscatrice e smitizzante, ha condotto a stragi di foreste e miti.
“Nei giorni di Re Artù, ormai perduti,
oggi ancora dai britanni assai lodati,
questa terra di fate brulicava.”
La donna di Bath, Geoffrey Chaucer
Nel racconto, la foresta diventa rilevante anche per narrare delle donne che compaiono in questa storia. C’è Maud che vive nella foresta, ha il ruolo di vestale e impersonifica il conflitto con l’altro mondo, quello civile, in cui ci sono Lady Marian e Eleanor di Aquitania, segregate, limitate nelle loro azioni (ma non per questo passive o inerti). L’autore racconta tramite questi personaggi di un divino femminile sopravvissuto al cristianesimo, già leit motiv delle ballate medievali, mettendo in luce la contrapposizione tra il dio degli eserciti, il culto mariano e il sincretismo religioso e l’imprescindibilità del femminile anche a livello narrativo oltre che biografico.
Per gli appassionati di Tolkien, non manca poi la ripresa di alcune trovate letterarie, che non si riduce a un banale citazionismo ma diventa contaminazione originale e molto appagante per il lettore. Leggendo le descrizioni di Sherwood e di una banda di ragazzi molto piccoli, è impossibile non pensare a Mirkwood o agli Ent; c’è poi una gara di indovinelli, il cui premio è la fuga; in un certo momento appare un troll pietrificato; a traghettare Gisborne lungo il fiume è un barcaiolo che si chiama Tom, la cui taciturna consorte ricorda una ninfa; un personaggio si arrampica disperato sopra un albero e arriva sul tetto verde della foresta; c’è una dama dai capelli speciali, reclusa in una torre…
Lo stile del racconto è diretto, asciutto e alcune scene sembrano concepite come partiture teatrali per due attori. Wu Ming 4 raggiunge l’essenzialità della narrazione, scarnificandola e lasciando al lettore solo i momenti archetipici nei quali il tempo della racconto è fuso con quello della storia. Ma al tempo stesso lasciando piena e compiuta forma alla prosa, impugnando la penna con la leggerezza e la precisione degli arcieri di cui narra.
La forza di Wu Ming 4 è quella di abitare davvero le terre che ama e descrive, quelle terre dove Storia e Leggenda vivono e alle quali l’autore dona nuova linfa.